Arte e cultura
Chiese
Chiese
Chiesa Santa Maria o Collegiata
La Chiesa di S. Maria è il simbolo e il fulcro della Comunità della Terra di Lugnano.
La chiesa di S. Maria Assunta, armonicamente inserita all’interno del tessuto urbano di Lugnano, può essere considerata l’espressione più matura delle chiese romaniche presenti nel territorio dell’Umbria meridionale.
È sicuramente l’edificio di culto più importante di questo piccolo borgo, sia per il suo pregio artistico ed architettonico, che per il suo alto valore simbolico, manifestazione di straordinaria ricchezza e vitalità della cultura religiosa di una piccola comunità medievale. Essa, armonicamente inserita all’interno del tessuto urbano, è considerata da alcuni “un prodotto completamente locale” di “origine autoctona”, che nasce dall’idea e dalla cultura degli abitanti di Lugnano, da sempre centro di arrivo e di permanenza di gente da ogni parte d’Italia.
La Chiesa domina con il suo prospetto l’antica piazza medioevale chiamata “Platea di S. Maria”, la quale costituiva il punto di riferimento e di unificazione di tutte le Contrade componenti la Terra di Lugnano. Nel 1500, certo anche prima e dopo, era il centro della vita sociale e il cuore ideale e pratico di tutto il paese, dove il popolo si raccoglieva per assemblee pubbliche , per ogni evenienza importante e straordinaria ed era anche il luogo di tutte le feste e dei giochi medievali. Il suo perimetro era delimitato dal Palazzo del Podestà con la Cancelleria e le carceri, la Chiesa di S. Pietro , il Cemeterium , la Chiesa di S. Eutizio e la Chiesa di S. Maria. Sul lato destro vi era anche un caratteristico pozzo, scomparso intorno al 1950 e questo intervento ha ridimensionato la piazza, precedentemente più ampia.
La Collegiata ha nel suo pronao una lapide con una rubrica della Statuto, corrispondente alla rubrica n. 21 del I Libro dello Statuto del 1508. L’Eroli sostiene che è una prova per la datazione della Chiesa e dice: “Ecco dunque che la medesima iscrizione ci assicura che la presente rinnovata Collegiata era già in piedi nel 1230, e chi sa quanti anni prima, per cui i due secoli, da me dati alla sua ricostruzione, non ponnosi per alcuna ragione mettere in dubbio”.
L’edificio, volto ad oriente, verso il sole che sorge, simbolo di Cristo, presenta la tipica pianta a croce latina, con la facciata tripartita a salienti interrotti, coronata da timpano triangolare, che evidenza la ripartizione interna a tre navate. Essa è realizzata da blocchi di travertino locale perfettamente squadrati e ornata da un portico che presenta una copertura a semivolta, sostenuta da costoloni semicircolari, eseguiti interamente in pietra.
La facciata è ricca di elementi numerici e iconografici, cioè simboli religiosi, con significati precisi che potevano essere facilmente “letti” e compresi anche dal popolo solitamente analfabeta. Queste raffigurazioni, veri e propri proverbi scolpiti nella pietra, avevano lo scopo di ammonire il popolo e difenderlo dalle tentazioni, simboli che i nostri antenati capivano con naturale semplicità.
Il timpano, cioè il punto più alto del tetto, è sormontato da un’Aquila che indica tutte le chiese romaniche dedicate alla Madonna. Le due ali della grande Aquila furono date a Maria per volare nel “ nel deserto degli uomini”, cioè il mondo, dove nascerà la Chiesa di Cristo. A differenza delle altre Aquile la nostra tiene tra gli artigli un agnello immolato, sacrificato, che è il simbolo di Gesù Crocifisso.
Il Rosone sottostante più piccolo diviso in sei raggi significa il tempo della Creazione avvenuta in 6 giorni. E’ circondato da 7 dischi in ceramica, 7 è il numero perfetto, composto da 3, numero del Cielo e 4 numero della Terra.
Il grande Rosone è simbolo di Cristo centro dell’ Universo e ha questi significati: il cerchio è il Cielo simbolo di Dio, inscritto in un quadrato che rappresenta la Terra dell’uomo. L’insieme di cerchio e quadrato rappresenta Dio che si fa Uomo con la venuta di Cristo. La ruota ha 16 doppi, cioè 32 all’esterno e 8, cioè 16 all’interno. Tutto il rosone è costruito sui multipli di 8, numero simbolo della Resurrezione attraverso il Battesimo, che ci toglie il Peccato originale.
Le quattro figure scolpite agli angoli del quadrato rappresentano i 4 Evangelisti, Matteo, Luca, Giovanni, Marco, considerati i 4 punti cardinali del Nuovo Testamento, cioè il Vangelo.
Le stesse figure si ripetono sull’architrave del portico: l’Angelo visto frontalmente rappresenta Matteo aperto verso l’umanità; il Leone raffigura Marco, difensore di Cristo; l’Aquila raffigura Giovanni simbolo della Resurrezione; il Toro rappresenta Luca, simbolo di passione e di sacrificio.
Accanto a Luca è rappresentato Adamo con le sembianze di un animale, per ricordare a tutti il peccato originale commesso da Adamo e che gli causò la cacciata dal Paradiso Terrestre, dall’altro lato l’animale impaurito è il simbolo del Peccato.
Ciascuno dei capitelli delle colonne laterali raffigura una doppia Y, che sta ad indicare le due strade che l’uomo può percorrere: la Salvezza o la dannazione.
Sul capitello, sotto l’Angelo di Matteo, sono scolpite due Aquile con le ali che si toccano per indicare l’importanza dell’unità e della fratellanza tra gli uomini.
Sotto l’Aquila di Giovanni, l’ultimo capitello presenta un soggetto curioso e molto discusso, ma si è arrivati alla conclusione che i nastri nascenti dalle orecchie di due uomini e che terminano in un fiore, simboleggino l’Ascolto e l’Obbedienza dell’Uomo alla parola di Dio.
È sicuramente l’edificio di culto più importante di questo piccolo borgo, sia per il suo pregio artistico ed architettonico, che per il suo alto valore simbolico, manifestazione di straordinaria ricchezza e vitalità della cultura religiosa di una piccola comunità medievale. Essa, armonicamente inserita all’interno del tessuto urbano, è considerata da alcuni “un prodotto completamente locale” di “origine autoctona”, che nasce dall’idea e dalla cultura degli abitanti di Lugnano, da sempre centro di arrivo e di permanenza di gente da ogni parte d’Italia.
La Chiesa domina con il suo prospetto l’antica piazza medioevale chiamata “Platea di S. Maria”, la quale costituiva il punto di riferimento e di unificazione di tutte le Contrade componenti la Terra di Lugnano. Nel 1500, certo anche prima e dopo, era il centro della vita sociale e il cuore ideale e pratico di tutto il paese, dove il popolo si raccoglieva per assemblee pubbliche , per ogni evenienza importante e straordinaria ed era anche il luogo di tutte le feste e dei giochi medievali. Il suo perimetro era delimitato dal Palazzo del Podestà con la Cancelleria e le carceri, la Chiesa di S. Pietro , il Cemeterium , la Chiesa di S. Eutizio e la Chiesa di S. Maria. Sul lato destro vi era anche un caratteristico pozzo, scomparso intorno al 1950 e questo intervento ha ridimensionato la piazza, precedentemente più ampia.
La Collegiata ha nel suo pronao una lapide con una rubrica della Statuto, corrispondente alla rubrica n. 21 del I Libro dello Statuto del 1508. L’Eroli sostiene che è una prova per la datazione della Chiesa e dice: “Ecco dunque che la medesima iscrizione ci assicura che la presente rinnovata Collegiata era già in piedi nel 1230, e chi sa quanti anni prima, per cui i due secoli, da me dati alla sua ricostruzione, non ponnosi per alcuna ragione mettere in dubbio”.
L’edificio, volto ad oriente, verso il sole che sorge, simbolo di Cristo, presenta la tipica pianta a croce latina, con la facciata tripartita a salienti interrotti, coronata da timpano triangolare, che evidenza la ripartizione interna a tre navate. Essa è realizzata da blocchi di travertino locale perfettamente squadrati e ornata da un portico che presenta una copertura a semivolta, sostenuta da costoloni semicircolari, eseguiti interamente in pietra.
La facciata è ricca di elementi numerici e iconografici, cioè simboli religiosi, con significati precisi che potevano essere facilmente “letti” e compresi anche dal popolo solitamente analfabeta. Queste raffigurazioni, veri e propri proverbi scolpiti nella pietra, avevano lo scopo di ammonire il popolo e difenderlo dalle tentazioni, simboli che i nostri antenati capivano con naturale semplicità.
Il timpano, cioè il punto più alto del tetto, è sormontato da un’Aquila che indica tutte le chiese romaniche dedicate alla Madonna. Le due ali della grande Aquila furono date a Maria per volare nel “ nel deserto degli uomini”, cioè il mondo, dove nascerà la Chiesa di Cristo. A differenza delle altre Aquile la nostra tiene tra gli artigli un agnello immolato, sacrificato, che è il simbolo di Gesù Crocifisso.
Il Rosone sottostante più piccolo diviso in sei raggi significa il tempo della Creazione avvenuta in 6 giorni. E’ circondato da 7 dischi in ceramica, 7 è il numero perfetto, composto da 3, numero del Cielo e 4 numero della Terra.
Il grande Rosone è simbolo di Cristo centro dell’ Universo e ha questi significati: il cerchio è il Cielo simbolo di Dio, inscritto in un quadrato che rappresenta la Terra dell’uomo. L’insieme di cerchio e quadrato rappresenta Dio che si fa Uomo con la venuta di Cristo. La ruota ha 16 doppi, cioè 32 all’esterno e 8, cioè 16 all’interno. Tutto il rosone è costruito sui multipli di 8, numero simbolo della Resurrezione attraverso il Battesimo, che ci toglie il Peccato originale.
Le quattro figure scolpite agli angoli del quadrato rappresentano i 4 Evangelisti, Matteo, Luca, Giovanni, Marco, considerati i 4 punti cardinali del Nuovo Testamento, cioè il Vangelo.
Le stesse figure si ripetono sull’architrave del portico: l’Angelo visto frontalmente rappresenta Matteo aperto verso l’umanità; il Leone raffigura Marco, difensore di Cristo; l’Aquila raffigura Giovanni simbolo della Resurrezione; il Toro rappresenta Luca, simbolo di passione e di sacrificio.
Accanto a Luca è rappresentato Adamo con le sembianze di un animale, per ricordare a tutti il peccato originale commesso da Adamo e che gli causò la cacciata dal Paradiso Terrestre, dall’altro lato l’animale impaurito è il simbolo del Peccato.
Ciascuno dei capitelli delle colonne laterali raffigura una doppia Y, che sta ad indicare le due strade che l’uomo può percorrere: la Salvezza o la dannazione.
Sul capitello, sotto l’Angelo di Matteo, sono scolpite due Aquile con le ali che si toccano per indicare l’importanza dell’unità e della fratellanza tra gli uomini.
Sotto l’Aquila di Giovanni, l’ultimo capitello presenta un soggetto curioso e molto discusso, ma si è arrivati alla conclusione che i nastri nascenti dalle orecchie di due uomini e che terminano in un fiore, simboleggino l’Ascolto e l’Obbedienza dell’Uomo alla parola di Dio.
INTERNO
L’architettura interna con un’articolazione dello spazio su tre livelli – navata, cripta e presbiterio – profitta sicuramente di contributi lombardi, la cui presenza sul territorio è attestata da fonti storiche già a partire dal medioevo. La sua struttura compatta e solida sottolinea un’armonia volumetrica, mentre le linee semplici della costruzione sono espressione di un’arte forte ed austera, che si era ispirata per secoli a forme di arte classica, ancora presenti nella regione.
La copertura a volta della navata centrale, realizza lo totale continuità muraria della struttura ed offre l’immagine di un vano avvolgente e massivo, sviluppato in profondità e plasticamente scandito da una duplice fila di quattro colonne massicce, poco rastremate e prive di entasi, poggiate su basamenti quadrangolari e congiunte da archi a tutto sesto.
I capitelli presentano una varietà di forme che rivelano, secondo alcuni studiosi, una differenza di mano, oltre che di tecnica e di stile, confermando l’ipotesi di una possibile ricostruzione della chiesa.
Ad un primo gruppo appartengono capitelli cubici, lisci o imitanti esemplari più antichi ad intreccio. Ad essi si associano i capitelli palmati ad uno o più ordini, che rivelano una fattura rustica e profili che si avvicinano a quelli coevi di Sant’Alò a Terni e di S. Pietro a Tuscania.
Ad un secondo gruppo di capitelli appartengono gli esemplari molto più evoluti imitanti direttamente qualche modello antico in un composito mosso ed elaborato e quello, unico nel suo genere, in cui è raffigurato un altare con due sacerdoti in paramenti e nell’angolo destro un serpente a testa d’uomo, figura del demonio e del paganesimo, mentre nell’angolo sinistro una donna in trono benedicente. Sono diverse le interpretazioni sul significato simbolico delle figure che svolgono “in sequenze successive scene illustranti l’Eucarestia nella sua rappresentazione concreta – cioè il celebrante assistito da diaconi – e la Chiesa nella sua rappresentazione allegorica – cioè donna in trono benedicente – contrapposte alla spaventosa allegoria dell’umanità peccatrice fra le spire del demonio, affiancata da simboli diabolici, quali la luna piena e la civetta”.
L’architettura interna con un’articolazione dello spazio su tre livelli – navata, cripta e presbiterio – profitta sicuramente di contributi lombardi, la cui presenza sul territorio è attestata da fonti storiche già a partire dal medioevo. La sua struttura compatta e solida sottolinea un’armonia volumetrica, mentre le linee semplici della costruzione sono espressione di un’arte forte ed austera, che si era ispirata per secoli a forme di arte classica, ancora presenti nella regione.
La copertura a volta della navata centrale, realizza lo totale continuità muraria della struttura ed offre l’immagine di un vano avvolgente e massivo, sviluppato in profondità e plasticamente scandito da una duplice fila di quattro colonne massicce, poco rastremate e prive di entasi, poggiate su basamenti quadrangolari e congiunte da archi a tutto sesto.
I capitelli presentano una varietà di forme che rivelano, secondo alcuni studiosi, una differenza di mano, oltre che di tecnica e di stile, confermando l’ipotesi di una possibile ricostruzione della chiesa.
Ad un primo gruppo appartengono capitelli cubici, lisci o imitanti esemplari più antichi ad intreccio. Ad essi si associano i capitelli palmati ad uno o più ordini, che rivelano una fattura rustica e profili che si avvicinano a quelli coevi di Sant’Alò a Terni e di S. Pietro a Tuscania.
Ad un secondo gruppo di capitelli appartengono gli esemplari molto più evoluti imitanti direttamente qualche modello antico in un composito mosso ed elaborato e quello, unico nel suo genere, in cui è raffigurato un altare con due sacerdoti in paramenti e nell’angolo destro un serpente a testa d’uomo, figura del demonio e del paganesimo, mentre nell’angolo sinistro una donna in trono benedicente. Sono diverse le interpretazioni sul significato simbolico delle figure che svolgono “in sequenze successive scene illustranti l’Eucarestia nella sua rappresentazione concreta – cioè il celebrante assistito da diaconi – e la Chiesa nella sua rappresentazione allegorica – cioè donna in trono benedicente – contrapposte alla spaventosa allegoria dell’umanità peccatrice fra le spire del demonio, affiancata da simboli diabolici, quali la luna piena e la civetta”.
SCHOLA CANTORUM E AMBONI
I restauri fatti nel 1936 -37 hanno interessato la rimozione dell’intonaco e il suo rifacimento, la chiusura delle nicchie dei confessionali e delle quattro cappelle laterali, rettificate le scale del presbiterio, ricostruito l’altare a ciborio, l’abside fu riportata sulla ritrovata fondazione risultando molto più accorciata. I numerosi avanzi ritrovati hanno consentito di ricostruire la schola cantorum e gli amboni, che una volta servivano per la lettura del Vangelo e dell’Epistola. Vengono adoperati “cinque pannelli in mosaico e cinque pilastrini pure con mosaico, due pilastrini con il caratteristico pomo e frammenti di altri, numerose cornici corrispondenti a pannelli, alcuni con rilievi…” (Grassini).
I restauri fatti nel 1936 -37 hanno interessato la rimozione dell’intonaco e il suo rifacimento, la chiusura delle nicchie dei confessionali e delle quattro cappelle laterali, rettificate le scale del presbiterio, ricostruito l’altare a ciborio, l’abside fu riportata sulla ritrovata fondazione risultando molto più accorciata. I numerosi avanzi ritrovati hanno consentito di ricostruire la schola cantorum e gli amboni, che una volta servivano per la lettura del Vangelo e dell’Epistola. Vengono adoperati “cinque pannelli in mosaico e cinque pilastrini pure con mosaico, due pilastrini con il caratteristico pomo e frammenti di altri, numerose cornici corrispondenti a pannelli, alcuni con rilievi…” (Grassini).
BASSORILIEVI
Sempre per ciò che riguarda le origini, va presa in considerazione un’indagine di Guerriero Bolli, ricercatore, su due bassorilievi esistenti nella Chiesa di S. Maria di Lugnano in Teverina.
Il primo rappresenta S. Michele Arcangelo che con una lancia uccide un dragone. Questo bassorilievo trova un riscontro con quello posto sulla facciata di S. Pietro in Spoleto, ora al Louvre di Parigi. E non va dimenticato Spoleto Ducato Longobardo. S. Michele Arcangelo, oltre ad essere il patrono del popolo ebraico, era anche ufficialmente compatrono del popolo longobardo. Nella “Terra di Lugnano” S. Michele viene chiamato “S. Angelo”. Le due festività di S. Michele, 8 maggio (S. Angelo di Maggio) e il 29 settembre (S. Angelo di settembre), determinano il tempo della vendita dei pascoli o “erbatici” e in questo rientra il fenomeno della transumanza. Sempre nella “Terra di Lugnano”, a S. Michele Arcangelo viene dedicata una chiesa in Via Garibaldi; S. Angelo diventa il nome di una contrada nella “Terra”, di vocaboli di terreni e, nel 1622, il nome della seconda porta della Terra di Lugnano. Questo dimostra, in un certo senso, come la presenza dei Longobardi, oltre che da documentazioni storiche, sia, in qualche modo, provata dal costume, da leggi e da tradizioni.
Tutto ciò non certifica la sicura presenza del popolo longobardo, ma una cosa è certa: anche se la Terra di Lugnano apparteneva al Ducato Romano, confinava con la Tuscia longobarda ed era soltanto il Tevere a stabilire, eventualmente, questo confine. Quindi, non solo la presenza, ma anche l’influenza culturale dei longobardi può essere ipotizzata in quella che sarà la Terra di Lugnano o Lugnano della Teverina. Tutto ciò negli anni 500, 600 e 700. Non va neppure dimenticato che, negli anni 1000, i possedimenti di Matilde di Canossa, longobarda, arrivavano fino al Lazio settentrionale.
Il secondo bassorilievo potrebbe essere ancora più interessante. Si riporta la descrizione di Guerriero Bolli, fin dove si può essere completamente d’accordo: “L’altro bassorilievo omologo all’altare della Collegiata di Lugnano rappresenta due personaggi in vesti da magistrato, che si scambiano la pace si offrono vicendevolmente una piccola anfora. Nel suo insieme il bassorilievo non ha la finezza del bassorilievo di S. Michele, pure riconoscendo alle due figure di magistrati una certa monumentalità dovuta al convergere delle due figure, che nella parte inferiore del bassorilievo occupano l’intera base del rettangolo e si stringono verso l’alto. Anche questi personaggi portano sulla loro veste, ricca di fonde pieghe, un corsetto dalle larghe maniche, che termina in una arricciatura, che dovrebbe servire a coprire la cintura, che stringe la veste alla vita. Un indumento questo che fa pensare al “rocchetto”, che i Vescovi o i Canonici indossavano sulla cotta prima della riforma liturgica e che era anche un indumento in uso nelle antiche corti. Questo “rocchetto” era un indumento di origine nordica, perché il suo nome al vocabolo “rock”, cioè “abito”.
È evidente che ci troviamo di fronte al racconto di un avvenimento di un certo rilievo storico, degno di essere immortalato in una scultura di cui ci incuriosisce il particolare delle due piccole anfore: esse potrebbero ricordare il “lahone chilt”, cioè il dono che si offriva nel diritto longobardo per testimoniare l’accettazione incondizionata del patto.” (Indagini del C.E.S.T.R.E.S. – Giugno 1998).
Sempre per ciò che riguarda le origini, va presa in considerazione un’indagine di Guerriero Bolli, ricercatore, su due bassorilievi esistenti nella Chiesa di S. Maria di Lugnano in Teverina.
Il primo rappresenta S. Michele Arcangelo che con una lancia uccide un dragone. Questo bassorilievo trova un riscontro con quello posto sulla facciata di S. Pietro in Spoleto, ora al Louvre di Parigi. E non va dimenticato Spoleto Ducato Longobardo. S. Michele Arcangelo, oltre ad essere il patrono del popolo ebraico, era anche ufficialmente compatrono del popolo longobardo. Nella “Terra di Lugnano” S. Michele viene chiamato “S. Angelo”. Le due festività di S. Michele, 8 maggio (S. Angelo di Maggio) e il 29 settembre (S. Angelo di settembre), determinano il tempo della vendita dei pascoli o “erbatici” e in questo rientra il fenomeno della transumanza. Sempre nella “Terra di Lugnano”, a S. Michele Arcangelo viene dedicata una chiesa in Via Garibaldi; S. Angelo diventa il nome di una contrada nella “Terra”, di vocaboli di terreni e, nel 1622, il nome della seconda porta della Terra di Lugnano. Questo dimostra, in un certo senso, come la presenza dei Longobardi, oltre che da documentazioni storiche, sia, in qualche modo, provata dal costume, da leggi e da tradizioni.
Tutto ciò non certifica la sicura presenza del popolo longobardo, ma una cosa è certa: anche se la Terra di Lugnano apparteneva al Ducato Romano, confinava con la Tuscia longobarda ed era soltanto il Tevere a stabilire, eventualmente, questo confine. Quindi, non solo la presenza, ma anche l’influenza culturale dei longobardi può essere ipotizzata in quella che sarà la Terra di Lugnano o Lugnano della Teverina. Tutto ciò negli anni 500, 600 e 700. Non va neppure dimenticato che, negli anni 1000, i possedimenti di Matilde di Canossa, longobarda, arrivavano fino al Lazio settentrionale.
Il secondo bassorilievo potrebbe essere ancora più interessante. Si riporta la descrizione di Guerriero Bolli, fin dove si può essere completamente d’accordo: “L’altro bassorilievo omologo all’altare della Collegiata di Lugnano rappresenta due personaggi in vesti da magistrato, che si scambiano la pace si offrono vicendevolmente una piccola anfora. Nel suo insieme il bassorilievo non ha la finezza del bassorilievo di S. Michele, pure riconoscendo alle due figure di magistrati una certa monumentalità dovuta al convergere delle due figure, che nella parte inferiore del bassorilievo occupano l’intera base del rettangolo e si stringono verso l’alto. Anche questi personaggi portano sulla loro veste, ricca di fonde pieghe, un corsetto dalle larghe maniche, che termina in una arricciatura, che dovrebbe servire a coprire la cintura, che stringe la veste alla vita. Un indumento questo che fa pensare al “rocchetto”, che i Vescovi o i Canonici indossavano sulla cotta prima della riforma liturgica e che era anche un indumento in uso nelle antiche corti. Questo “rocchetto” era un indumento di origine nordica, perché il suo nome al vocabolo “rock”, cioè “abito”.
È evidente che ci troviamo di fronte al racconto di un avvenimento di un certo rilievo storico, degno di essere immortalato in una scultura di cui ci incuriosisce il particolare delle due piccole anfore: esse potrebbero ricordare il “lahone chilt”, cioè il dono che si offriva nel diritto longobardo per testimoniare l’accettazione incondizionata del patto.” (Indagini del C.E.S.T.R.E.S. – Giugno 1998).
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02 Gennaio 2019
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